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Un luogo per mantenere vivo il ricordo di chi non c'è più. Le storie personali delle vittime della strada.
“A me piace vivere Davide al presente, con la sua allegria e il suo amore verso il prossimo. Davide nasce a Sassari l’8 giugno 1987 e frequenta la scuola primaria a Nuoro. Per questioni lavorative alla fine degli anni Novanta la nostra famiglia si trasferisce a Roma, ma non abbiamo mai smesso di fare su e giù con la Sardegna. Davide stesso ha deciso di proseguire gli studi in Sardegna e ha studiato all’IPSSAR di Arzachena, l’Istituto per la ristorazione e il turismo. Per un breve periodo torna a Roma ma per perfezionare il suo corso di studi va in Inghilterra. Rientrato a Roma incontra una ragazza e in giovanissima età, a 22 anni diventa papà di uno splendido bimbo. Per mantenere la famiglia si adatta a lavorare come panettiere, presso un noto panificio di Roma. Accetta orari impossibili, ma tutto ciò sembra non pesargli. È sempre stato molto responsabile già da ragazzino: studiava d’inverno, lavorava d’estate. Davide è molto sensibile anche alla tematica dell’incidentalità stradale, poiché il nonno paterno, mio padre, nel 1964 morì di incidente stradale su uno scooter. Per questo motivo ho sempre cercato di sensibilizzare i miei figli, ricordandogli che l’auto può essere un’arma, può essere un bene ma può essere anche un male. Per questa ragione Davide è sempre molto prudente. Altrimenti io non sarei mai salita in auto con lui! Perché ho convissuto con un’ assenza, data dalla morte di mio papà avvenuta quando io ero bambina, avevo 3 anni e lui ne aveva 30, più o meno l’età di Davide. Non ho mai voluto che i miei figli prendessero il mezzo in maniera impropria. Non ho mai dovuto insistere più di tanto perché sono sempre stati tutti ragazzi coscienziosi. Davide è un ragazzo, molto responsabile, molto attento nei confronti della famiglia, molto legato ai fratelli, è quello che elargisce i consigli ai fratelli più piccoli, quello che discute con me per una visione differente della realtà. Mi dice “contro di te non posso vincere, la spunti sempre tu!”, ed è fiero di questa cosa, perché sono venuta a sapere, che alla sua compagna come prima cosa ha parlato della sorella e di me, definendomi una “donna di lotta”. Lui è un credente, partecipa alle attività della sua parrocchia,come allenatore di una squadra di calcio (già durante il periodo della permanenza in Sardegna Davide faceva parte della squadra di calcio di Luogosanto) e comunque io, di idee diametralmente opposte alle sue, l’ho sempre sostenuto e lasciato libero di scegliere e non solo, più di una volta mi ha coinvolto con la sua allegria, chiedendomi di andare in parrocchia per partecipare alle feste o guardare gli allenamenti. Ha coinvolto anche i suoi fratelli all’interno di questa squadra, come giocatori. Davide ama il prossimo, l’umanità. Non ha nessuna cattiveria, anzi cerca di mettere pace laddove non ce ne sia. Mi prende anche un po’ in giro per le mie idee opposte, mi fa delle battute, ma nello stesso tempo apprezza il fatto che io parallelamente lo assecondi. Davide è cresciuto nel rispetto del prossimo, sono i valori che da sempre ho portato avanti, lo faccio anche adesso perché, come dice lui, sono una donna di lotta, ma ho sempre lasciato i miei figli liberi di esprimersi con il loro credo, con i loro ideali.
Davide ama il Judo, tutta la famiglia lo pratica e abbiamo delle cinture nere; una delle sue sorelle è nazionale di Judo. Abbiamo infatti aperto un’associazione culturale e sportiva che porta il nome di Davide, dove si pratica lo Judo, l’abbiamo aperta in un quartiere popolare, come Tor Bella Monaca, perché lui proviene dal popolo, è un lavoratore, un ragazzo che è stato ammazzato mentre andava al lavoro. Non è uno sbandato. Il suo assassino invece non è una persona per bene. Era sotto effetto di alcol quando ha imboccato contromano l’uscita 18 del Grande Raccordo Anulare e ha preso in pieno mio figlio che stava andando a lavoro a bordo di uno scooter. Era quasi arrivato, mancavano 300 metri. Davide aveva la macchina rotta in quel periodo e con tanti sacrifici era riuscito a comprarne un’altra che sarebbe dovuta arrivare il giorno successivo. Quella notte, quindi, per andare a lavoro in panetteria, prende lo scooter. L’impatto ha fatto volare Davide a diversi metri di distanza. Gli ha procurato lo sfondamento della cassa toracica e del cranio, nonostante avesse il casco, un casco omologato e ben allacciato, acquistato da poco, perché anche in questo io ho sempre insistito. L’assassino di Davide ha proseguito la sua folle corsa. Lo ha solo fermato il fatto che avesse perso i pezzi della macchina all’altezza del quartiere Giardinetti, dove poi è stato trovato e raggiunto da una pattuglia della polizia. Era il 27 maggio del 2019. Davide è morto per pluritraumatismo. Davide non avrebbe mai preso lo scooter senza indossare il casco. La fine che gli ha fatto fare il suo assassino è in contrapposizione con quello che era Davide. Non meritava di avere quel trattamento, di essere lasciato a morire sull’asfalto. Chi lo ha ammazzato è completamente all’opposto. È fuggito e fuggire è un atto infame. Ho saputo della morte di mio figlio dai social. I familiari vengono avvisati dalle autorità sempre tardi, dopo che lo hanno saputo da altre persone, se non addirittura, dai media, come è avvenuto nel nostro caso. A mia figlia arrivavano messaggi di cordoglio sui social e noi eravamo ancora all’oscuro dell’accaduto. La Polizia Municipale non è stata tempestiva nella comunicazione e io voglio battermi affinché nelle leggi per lesioni, o per omicidio stradale venga inserita anche la procedura per una veloce comunicazione ai familiari. Le battaglie che faccio non servono per far resuscitare Davide perché, per quanto io lo voglia, questo è impossibile. Io mi batto perché altre famiglie prendano l’esempio, si attivino e trovino la carica per andare avanti fino in fondo. Lasciandoci andare solo al dolore, al pianto e alla nostalgia, giusto sì perché ci riempie di ricordi non basta; occorre attivarsi, essere parte attiva in un processo di cambiamento, affinché di tragedie come queste, ne avvengano sempre meno. Quella strada dove è morto Davide, contrassegnata con una foto, sia luogo di riflessione. Il mio motto è: Un momento, sto pensando. Questa è la buona strada verso la vita.
“Credevano di averci sepolto e non sapevano che noi eravamo semi” (proverbio sudamericano)
Maria Grazia Carta (Mamma di Davide)
Un ciclone di sorrisi. Questo era nostro figlio Alessandro. Un ragazzo, solare, con una carica pazzesca di energia, sempre positivo. Per lui non esistevano i problemi perché, diceva, i problemi si affrontano. Ha sempre avuto tanta voglia di vivere, circondato da migliaia di amici e forse proprio per il fatto di essere figlio unico era diventato il “fratello del mondo”.
Alessandro è nato a Roma ma le nostre terre di origine, Calabria e Umbria, lo hanno in qualche modo condizionato in quello che sarebbe diventato il suo percorso professionale, la ristorazione. Di quelle terre Alessandro andava fiero. Da quelle terre ha assorbito le tradizioni culinarie. Era lì che da bambino trascorreva le vacanze estive con i nonni: un mese sul mare della Calabria e un mese tra le colline dell’Umbria. In quei posti è tornato anche da adulto, ne amava i panorami, li viveva appieno.
La passione per la cucina è arrivata, in un certo senso, tardi. Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico ha scelto la facoltà di Economia e Commercio a La Sapienza di Roma. Ha dato 11 esami ma l’amore per i fornelli era più forte. Quando ha deciso di cambiare totalmente il corso di studi la sua unica preoccupazione era quella di dare un dolore a noi genitori, vedendo in noi dei modelli da seguire: un papà che si era laureato dopo essersi sposato, che lavorava e contemporaneamente studiava, una mamma che ha rinunciato a “metà” del suo lavoro, facendo un par-time per dedicarsi a lui… È stato cresciuto come un ragazzo indipendente, in casa sapeva fare tutto, era una “massaia” perfetta! E poi era un ragazzo di parola: i viaggi studio che gli abbiamo regalato li meritava veramente. Siamo fieri di lui. Certo, l’idea della laurea sfumata un po’ ci dispiaceva ma nello stesso tempo volevamo che lui trovasse la sua strada. All’inizio temevamo che quella della “cucina” fosse una parentesi, ma Alessandro ci disse: “Vi prometto che sentirete parlare di me”. E cinque anni dopo ci ha portato la “stella”. La passione per la cucina è nata in seguito ad un corso da sommelier professionista presso l’AIS, che gli abbiamo regalato. Alessandro è sempre stato molto curioso, amante del bere, della cucina, ma nulla all’inizio faceva prevedere che sarebbe diventato uno chef stellato. La decisione di regalargli un corso da sommelier professionista è avvenuta quasi per caso: in quel periodo frequentava l’università e il corso dell’AIS assegnava un patentino che gli avrebbe consentito di lavorare in tutto il mondo. Essendo studente abbiamo pensato bene di regalargli un’opportunità che potesse concretizzarsi, volendo, in un mestiere. Volevamo però soprattutto regalargli un’educazione al bere. I giovani spesso, avendo pochi soldi in tasca, non sempre fanno attenzione alla qualità di ciò che bevono. Per questo volevamo che lui imparasse a bere bene, a bere sano e responsabilmente. All’epoca del corso Alessandro aveva 21 anni. Grazie a questa esperienza, superata in modo brillante col massimo dei voti e nel minor tempo possibile, ha scoperto di avere un palato particolare. La stessa AIS, notate queste qualità, lo ha spinto a frequentare dei master da sommelier. Qualcuno aveva infatti capito che Alessandro era tagliato per il mondo della cucina. Da lì è stata un’escalation di successi. Alessandro ha bruciato tutte le tappe, da quando ha iniziato la sua carriera fino all’ottenimento della stella Michelin sono passati appena 5 anni… Ha effettuato il tirocinio nella cucina centrale del Rome Cavalieri “Waldorf Astoria di Roma” (5*L), dove dopo due anni ha ricevuto la qualifica da Demichef de Partie.
Il maestro Heinz Beck aveva visto giusto definendolo un talento naturale. Se non fosse successa la disgrazia quel 22 giugno del 2018, sicuramente sarebbe stato candidato per la seconda stella. Chissà… Alessandro ha iniziato esattamente la sua carriera nel febbraio del 2012 e nel 2017 ha preso la stella, quella proprio “sua”! Le cose sono andate così: nel 2015 lavorava a Dubai negli Emirati Arabi, alla corte di Heinz Beck: qui ha esordito come Chef de Partie e poi come Sous Chef al “Social By Heinz Beck” Waldorf Astoria Palm Jumeirah (5*L). In tre mesi aveva fatto dei progressi che avevano lasciato tutti allibiti. La cosa bella però era un’altra. Alessandro era un elemento “aggregante”, in quella cucina di Dubai erano 16 cuochi, di cui 6 italiani. Tra di loro non c’era complicità. Arrivato Alessandro sono rimasti tutti colpiti perché dopo una settimana aveva organizzato cene, partite di calcetto, si era inventato qualunque cosa pur di compattare il gruppo. Lo stesso Beck ci ha detto che l’aria che si respirava in cucina da quando era arrivato nostro figlio era completamente diversa. In cucina si usa il termine “brigata”, con il quale si indica il team che la rappresenta, ma Alessandro diceva sempre che più che “brigata” i cuochi sono dei “briganti”, dei fuorilegge, come dice la parola, ma non in senso dispregiativo, anzi, dei veri e propri combattenti, perché solo chi vive l’esperienza del cuoco può capire cosa significhi il sacrificio e l’amore per il proprio mestiere.
Una proposta allettante da un punto di vista professionale ma soprattutto affettivo che lo lega indelebilmente alla famiglia Troiani, lo porta a tornare in Italia, come Chef di Cuisine del ristorante “Acquolina Hostaria in Roma”, dove conferma la stella Michelin della guida 2016. Nello stesso anno inizia le docenze, riconosciute dalla Regione Lazio, presso l’Ateneo della cucina Italiana Coquis, dove insegna all’interno dei corsi professionali e di Laurea. Nel Novembre del 2016, invece, ottiene la stella Michelin nella guida 2017. E questa volta lo chef di “Acquolina” era lui e la stella tutta sua. Ecco un’altra delle decisioni che hanno segnato la sua vita: nell’aprile del 2017, decide di entrare completamente a far parte di questo progetto, acquistando il Brand “Acquolina” e trasferendo il ristorante nella prestigiosa sede del “The first luxury art Hotel di Roma” in Via del Vantaggio (5*L), a pochi passi da Piazza del Popolo, del quale è Executive Chef, socio e titolare. E contemporaneamente, nella medesima sede, dare vita ad “Acquaroof”, bistrò situato nella terrazza panoramica dell’albergo.
Fin da bambino Alessandro aveva in testa di voler fare l’imprenditore, voleva creare qualcosa di suo, farsi da solo. Che era un bambino intraprendente lo avevamo capito già da quando aveva quattro anni e mezzo. La sorella del papà di Alessandro è laureata in Lettere con indirizzo teatro e spettacolo e come tutti gli studenti faceva i provini per le pubblicità. Un giorno non sapevamo a chi affidare Alessandro poiché lavoravamo; lei si offre di tenerlo e lo porta con sé ad uno di questi provini. La regista che doveva farle il provino restò incantata da questo bambino, dalla sua spontaneità e a distanza di qualche mese venimmo ricontattati perché cercavano dei bambini per il “Liolà” di Pirandello con Lando Buzzanca. Volevano Alessandro a tutti i costi, ma noi genitori non potevamo seguirlo in tournée perché lavoravamo. Così fecero il contratto anche alla zia come membro del coro. Era il 1994. Alessandro per sei mesi ha calcato i palcoscenici dei più grandi teatri italiani, noi lo seguivamo nel fine settimana in giro per l’Italia e anche lì dimostrò una grande attenzione verso gli altri, nonostante i suoi soli 5 anni. Quando un attore di teatro arriva in città deve procurarsi un posto in cui dormire e individuare un luogo in cui mangiare. Lui accompagnava Mario Donatone, noto caratterista del cinema italiano che faceva parte della compagnia diventato suo grande amico nonostante la differenza di età, a cercare l’alloggio per tutti, la trattoria per tutti e Alessandro conservava tutti i biglietti da visita e poi ce li portava a casa e diceva “Quando si va in giro con la tournée bisogna cercare un posto dove mangiare e dove dormire e il segreto è andare dove vanno i camionisti perché si spende poco e si mangia bene!”. Finita questa esperienza il cinema ha continuato a cercarlo, ma quel mondo non ci piaceva e visto che non potevamo seguirlo per impegni lavorativi e sarebbe dovuto andare in giro da solo non abbiamo consentito che proseguisse. Aveva doti istrioniche che lo hanno contraddistinto anche da adulto. I suoi clienti erano rapiti dal modo che aveva di interfacciarsi con loro. Alessandro era perfettamente bilingue e capitava anche che ai clienti americani raccontasse le barzellette romane in americano. Anche se la “padella” era la sua passione non vedeva l’ora di uscire in sala e fare il suo show. Amava coccolare il cliente, addirittura capitava che a qualcuno desse un passaggio fino a casa per evitare che prendesse il taxi. Questa euforia era solo una faccia della medaglia, perché Alessandro in realtà era anche molto umile, sempre esigente, studioso e attento a tutto ciò che faceva; non parlava mai se non era padrone della materia.
A casa cucinava per mamma e papà, cose semplici ma buonissime. Già da adolescente ci faceva trovare la cena pronta al rientro dal lavoro. Con gli amici era il re della padella e della brace! Chiunque lo ricorda perché quando era a casa apriva il frigorifero e con gli ingredienti che trovava elaborava cose stupende. Ignari di quello che sarebbe diventato.
Alessandro ha trovato un fratello maggiore nello zio Claudio, il fratello della mamma. Li separavano dieci anni e Claudio lo ha sempre portato con sé, con la sua comitiva di amici. Questa cosa ad Alessandro piaceva tantissimo perché gli dava modo di “pavoneggiarsi” con i suoi amici per il fatto di poter far tardi insieme all’amatissimo “Zì Cla”. Claudio ci ha sempre detto che il suo desiderio più grande era quello di avere un giorno un figlio bravo la metà di quanto era Alessandro. Riusciva ad essere talentuoso in tutto: gli amici di Claudio gli avevano regalato delle palline da giocoliere e lui strabiliava tutti facendole volteggiare; si dava alle imitazioni scatenando risate come quella volta che fece uno scherzo al nonno imitando al telefono Berlusconi e facendosi reggere lo scherzo dallo zio sempre complice, si faceva venire le vesciche alle mani per giocare a biliardino ma doveva vincere il torneo, giocava a calcetto scendendo in campo come fosse un calciatore professionista. Qualunque cosa doveva farla al massimo. Era ammaliante. Claudio è stata la persona che lo ha vissuto in maniera più intima. A lui poteva chiedere tutto e fargli fare di tutto.
Con la sua famiglia Alessandro ha condiviso sempre tutti i suoi successi. Da qualche mese lavorava con Giulia Puleio. Giulia era la sorella di un suo carissimo amico ed era esattamente la persona che cercava per coprire il ruolo di Chef de Rang nel ristorante di via del Vantaggio. L’aveva voluta fortemente perché era una ragazza precisa, maniacale come lui, attenta, molto garbata e molto preparata. Da poco era rientrata da Londra. Tutte le persone che lavoravano con Alessandro dovevano passare una selezione importante soprattutto con lui, anche a livello umano ed empatico, perché per lui il comportamento e la serietà erano fondamentali. Giulia aveva tutte le caratteristiche che Alessandro desiderava in una collaboratrice; per lei aveva grandi progetti. Era il mese di giugno del 2018. Alessandro era impegnato con Vinòforum, rassegna enogastronomica che si svolge a Roma. Stava per diventare testimonial per note marche di champagne e di pasta e avrebbe dovuto firmare questi due contratti importanti da lì a qualche giorno. A Vinòforum si esibiva in show-cooking, seminari, eventi. La sera del 21 giugno aveva terminato la sua giornata al Vinòforum e doveva tornare a casa. Decise invece di tornare da “Acquolina” per due motivi: sia perché un suo amico lo stava aspettando per festeggiare con un brindisi il suo compleanno sia perché con Giulia si erano fatti una promessa. Giulia avrebbe presentato ad Alessandro un suo carissimo amico, noto bartender in arrivo da Londra, mentre Alessandro avrebbe presentato a Giulia il maestro Heinz Beck ospite di Vinòforum. L’appuntamento era per tutti lì. Giulia aveva appena terminato la sua giornata lavorativa da “Acquolina”. Prima di partire dal ristorante per tornare alla rassegna Alessandro, che era in scooter, dice a Giulia che l’avrebbe portata con lui solo se avesse avuto un casco, altrimenti sarebbe rientrato a casa. Giulia riesce a trovare il casco. E sono andati via. Mai avessero trovato quel casco… Stavano percorrendo il Lungotevere della Vittoria, quando all’improvviso sono stati travolti da un’auto che ha invaso la strada contromano. Una distrazione fatale. Alessandro è deceduto sul momento, Giulia nove minuti dopo. Il primo a prestare soccorsi era un nostro amico che abita da quelle parti. All’inizio non lo aveva riconosciuto, quando ha sentito il nome ha capito che davanti a lui aveva quel ragazzino che aveva visto crescere e che ogni tanto andava a trovarlo quando il papà lavorava in Accademia in via di Ripetta. Anche l’auto con a bordo Heinz Beck, reduce da Vinòforum, passa sul Lungotevere. Ma Beck non poteva di certo immaginare che sotto quel lenzuolo bianco c’era il suo adorato allievo.
La pattuglia della Polizia Locale che è intervenuta non aveva neanche l’etilometro a bordo. Quindi all’automobilista non è stato fatto neanche l’alcoltest e non sapremo mai se era sotto effetto di alcol. Hanno chiesto rinforzi ma quella sera nel solo quadrante Roma Nord c’erano altri tre incidenti. Al conducente dell’auto non è stato nemmeno sequestrato il cellulare per magari appurare una distrazione dovuta all’uso dello stesso alla guida. Quando ancora nessuno di noi conosceva la dinamica dell’incidente ci sentivamo in colpa con i genitori di Giulia perché credevamo di aver portato via loro una figlia. Ma Cristina e Pasquale, con cui è nato un legame che va oltre l’amicizia, ci hanno sempre detto che Giulia no sarebbe mai salita in scooter con una persona della quale non si fidava.
Al funerale di Alessandro c’erano 4000 persone. Era un ragazzo amatissimo da tutti. Pur essendo un personaggio pubblico non aveva perso l’umiltà. Se vedeva per strada una vecchietta che faticava a portare la spesa si avvicinava per aiutarla. Cercava sempre di aiutare i più deboli. Ha aiutato tantissimi amici ad uscire da situazioni problematiche, dando loro un mestiere, restituendo loro la dignità. Non ha mai abbandonato nessuno perché diceva sempre che bisogna dare una seconda chance a chiunque. Viveva per gli altri. Sono arrivati messaggi di condoglianze da tutto il mondo perché Alessandro, da esperto di cucina molecolare teneva lezioni in videoconferenza dall’America al Giappone. Il giorno del funerale, dopo che il feretro è uscito dalla chiesa tra gli applausi, abbiamo voluto fare un brindisi e liberare in aria decine di palloncini bianchi, per rendere il giusto tributo al nostro ragazzo.
La storia di Alessandro deve insegnare che quando si guida bisogna avere la consapevolezza di avere in mano un’arma impropria e bisogna essere rispettosi della propria vita e di quella degli altri. Bisogna essere attenti alle regole, guidare con serenità ma con consapevolezza: essere onesti con se stessi. È quello che abbiamo sempre insegnato a nostro figlio a cui dicevamo che se uscendo la sera non se la sentiva di guidare era meglio fermarsi in qualche posto o chiamare mamma e papà. La vita è una cosa preziosa: l’acceleratore, la distrazione, il guidare con una mano sola, il non rispetto, in un attimo ti portano via tutto.
Ora sul luogo del sinistro è tutto illuminato a giorno. Subito dopo l’incidente il Comune ha provveduto ad incrementare le luci. Prima era buio pesto. Il Lungotevere della Vittoria era una delle strade con maggior tasso di incidentalità della Capitale. Anche il manto stradale è stato rifatto. Perché le amministrazioni decidono di intervenire sempre e solo dopo? Ad essere illuminato c’è anche un albero, l’albero di Alessandro e Giulia, un omaggio alla loro memoria. Quello deve essere un luogo dove riflettere.
Mamma e papà
Trieste ha fatto da culla a Simone. È lì che è nato ed ha trascorso i primi otto anni di vita, fin quando, nel 2003, decidiamo di andare a vivere in una cittadina che fosse più a misura d’uomo e la scelta ricade su Cervignano del Friuli. Simone inizia la terza elementare e non ha alcuna difficoltà ad abituarsi alle nuove circostanze, merito del suo carattere gioviale e allegro che gli ha permesso di adattarsi subito al cambiamento. L’inizio è esplosivo, Simone si integra subito non solo a scuola ma anche in tutto quello che la cittadina ha da offrire: pratica prima calcio, poi pallavolo, si unisce agli scout, frequenta il catechismo, il ricreatorio, i centri estivi al mare e in montagna, lo sci. Abbiamo sempre cercato di inserire Simone e Martina, sua sorella, in ogni attività scolastica ed extrascolastica, perché nel cambiamento dovevano crearsi delle radici, cucire dei legami con una realtà nuova.
Nonostante abbiano solo due anni di differenza, fin da piccolo Simone è stato molto protettivo con sua sorella, ha per lei una grande ammirazione, ne stima la tenacia, la determinazione e i suoi successi scolastici e ha in programma di organizzare una “festona” di laurea non appena Martina taglierà il traguardo. Martina è anche la sua consulente sul vestire e spesso prima di uscire, inizia una processione in camera della sorella in cerca di approvazione e consigli sulle scarpe o la camicia da mettere… e poi, che bello era guardarli quando ormai grandi uscivano insieme, raccontavano di essere stati nello stesso posto con gli amici e rientravano insieme.
La sua presenza in casa si avvertiva subito, tale era l’entusiasmo che portava con se’, sempre circondato da amici, impegnato con mille idee e progetti per la testa da condividere anche in famiglia, e le domande al suo rientro: ”Com’è andata la vostra giornata oggi?” “Cosa si mangia?” Un “fiume in piena” in ogni cosa che faceva e che amava raccontare sia a casa che in occasione delle grandi tavolate con i parenti a Salerno in estate e a Natale.
La famiglia ha sempre avuto un posto molto speciale, cercava sempre di ritagliare dei momenti per stare tutti insieme… sono tanti i ricordi e gli abbracci che porteremo con noi.
Simone è sempre stato felice di partecipare alle diverse iniziative organizzate dal Comune e dal ricreatorio ed è tramite la scuola che Simone incontra la sua più grande passione: la Canoa polo. Cervignano è attraversata da un fiume navigabile, l’Ausa, che permette la pratica di questo sport; la proposta viene fatta da quello che poi sarebbe diventato il suo allenatore: un centro estivo promosso dal CUS Udine di una settimana al quale aderiscono numerosi ragazzi. E Simone di certo, con la sua travolgente voglia di nuove esperienze, non poteva farsi sfuggire l’occasione. A 13 anni sale sulla canoa e non l’abbandona più, complici il contatto con l’acqua, elemento che gli appartiene più di ogni altro, e il legame che si crea con il gruppo di ragazzi che iniziano insieme quest’avventura. Le loro frequentazioni vanno oltre lo sport, si incontrano nella loro sede non solo per fare riunioni, ma anche per trascorrere ore libere e fare feste, oppure vanno tutti in bici alle prime feste nei dintorni. Nasce così la squadra della Canoa polo “CUS Udine” di Cervignano che pian piano conquista una serie di riconoscimenti partecipando ai vari tornei nazionali ed internazionali.
La passione di “Fragola”, questo l’affettuoso soprannome datogli dagli amici, è così forte che l’allenatore gli propone di fargli da “secondo” e così a 19 anni eccolo pronto ad una nuova conquista, quella del patentino di allenatore che porta a termine con successo dopo aver frequentato tutta una serie di corsi, dal primo soccorso all’uso del defibrillatore. Inizia così ad allenare due volte a settimana un gruppo di ragazzi di Cervignano, l’Under16, che nel 2015 si aggiudica un bel piazzamento nel Trofeo di Ponterosso di Trieste. In quel momento si rafforza ancora di più il legame con questo sport, e anche quando parte dei membri della sua squadra originaria lasciano per motivi di studio o di lavoro, Simone con altri non molla e insieme si uniscono ad un’altra squadra di Udine e formano così quello che loro chiamano “lo Squadrone”, perché unisce ragazzi dell’Alto e del Basso Friuli. L’acqua, il fiume sono una costante nella sua crescita e nell’esperienza da adolescente, tanto che a soli 13 anni prende la licenza di pesca che lo porterà, nel tempo, con i primi stipendi ad acquistare una barchetta sulla quale rifugiarsi quando vuole restare da solo.
Negli ultimi tempi cercava e apprezzava anche momenti in solitudine: una corsa in bici, un giro in auto o con la sua barca comprata a rate in cerca di un’alba, di un tramonto o del silenzio con la sola compagnia della sua canna da pesca.
Ogni anno a settembre Cervignano organizza un torneo internazionale di Canoa polo di tre giorni con squadre da Monaco, dall’Austria, dall’Ungheria, da Bologna, da Milano, da Roma, da Cagliari, dalle Marche, da Napoli… è la squadra di Simone ad occuparsi di tutto, ad organizzare il volantinaggio per far conoscere l’evento, ripulire il lungo fiume per gli ospiti e soprattutto organizzare il momento conviviale da vivere fino a tarda sera nel chiosco sul fiume con tanto di pastasciutta e frittura di pesce. È il momento che segna il saluto all’estate e l’inizio delle scuole.
Come gli altri, ci tiene che a Cervignano ci sia la squadra di Canoa polo e che abbia questo prestigioso torneo, vive con orgoglio il fatto che, chi passi sul fiume Ausa diretto verso Grado, si imbatta all’improvviso in quest’aria di sport e di festa.
Quello che noi genitori abbiamo visto è sempre stato il “gruppo”, finite le partite si era amici e questa era la sua carta vincente: l’amicizia, nello sport come in ogni momento della sua breve vita.
Tante volte noi genitori abbiamo seguito le sue partite e le sue vittorie, che erano anche le nostre e a volte anche le sconfitte. Sono stati undici intensi anni di Canoa polo che hanno lasciato molti ricordi in questa città, non ultimo l’evento “La Befana sul fiume”, dove i ragazzi accompagnavano la Befana lungo il fiume con le canoe illuminate dalle torce fino all’arrivo dove seguiva poi una grande festa conviviale molto attesa da adulti e bambini.
Ora ci resta la sua canoa, una canoa nuova che aveva dovuto comprare perché era cresciuto molto, ma che ha usato poco per gli incalzanti impegni lavorativi. Da poco aveva firmato un contratto a tempo indeterminato con una concessionaria di automobili. Prima di entrare ufficialmente nel mondo del lavoro, già da studente si dava da fare magari per pagarsi le vacanze o togliersi qualche soddisfazione. E così ha fatto volantinaggio, andava a fare la vendemmia, ha fatto l’aiuto istruttore in un centro estivo a Gorizia e nel centro estivo di Cervignano dove ha proposto questo sport ai bambini per far conoscere la Canoa polo. Ora è lui a trovarsi dall’altra parte e a trasmettere ai più piccoli l’amore per questo sport.
Il suo intento è sempre stato quello di essere autonomo e una volta diplomato invia il proprio curriculum ad una concessionaria di auto dove lo assumono per un periodo di prova di tre mesi, un contratto subito rinnovato per un anno fino al traguardo dell’indeterminato nel maggio 2018. Simone si occupa di curare il sito, svolge qualche mansione di segreteria ed è anche addetto alle vendite. Un traguardo per lui conquistato giorno dopo giorno che gli ha dato la possibilità di credere in se stesso, sentirsi gratificato nel mettere a frutto le sue capacità relazionali e le sue competenze in un settore che a lui piaceva moltissimo e dove aveva una grande voglia di migliorare e di crescere. Poi su richiesta del datore di lavoro, prende parte su Telefriuli ad un programma televisivo, “Effetto Motori Motorsport in FVG” per presentare le auto della concessionaria e incalzato dal giornalista che presenta il format ha modo di parlare del legame tra i giovani e la sicurezza stradale, esaltando i nuovi dispositivi di sicurezza presenti sulle nuove autovetture. Di questo parla tanto anche con noi, ci tiene a farci capire l’importanza di avere macchine solide. Lui stesso compra subito un’auto accessoriata con tanto di telecamere. Ogni tanto torna a casa con qualche auto che deve provare e ci convince a fare un giro con lui…e allora è tutto un decantare le nuove tecnologie.
A Simone è sempre piaciuto guidare e appariva molto sicuro, certo con i suoi vent’anni vogliamo credere che fosse anche prudente. Quando capitava di andare da amici che studiavano o vivevano fuori regione si spostava in treno per non farci preoccupare. Anche quel sabato 1 dicembre del 2018, ha preso il treno per andare a Bologna, ospite a casa di un’amica, forse era più di un’amica, è accolto e benvoluto dalla sua famiglia e quella sera cenano a casa tutti insieme. Per il dopocena erano indecisi, faceva freddo; ma era proprio a Bologna che Simone voleva organizzare la serata dell’ultimo dell’anno trascinando lì i suoi amici di Cervignano, ogni anno sceglievano un posto diverso, quindi voleva vedere questo locale. Alla fine tirano a sorte: si va!
Escono dal locale intorno alle 5. Stanno andando verso le macchine, camminano lungo la strada nello spazio destinato agli stalli per la sosta a pagamento, liberi a quell’ora di notte. Erano in fila per due, quando un ragazzo di 23 anni, distratto, perde il controllo dell’auto dopo appena 12 secondi dall’accensione. È un attimo. Lo specchietto laterale dell’auto aggancia il braccio di Simone che cade e batte la testa.
Il sorriso di Simone non si spegne quella notte. Continua a vivere non solo nel cuore di chi lo ama, ma in tutti coloro che hanno ricevuto i suoi organi.
È stato un dono per 23 anni: un figlio è il più bel dono che un uomo e una donna possano ricevere nella vita, ti rende genitori e incide nei cuori una profonda e dolcissima traccia indelebile che neanche la morte cancellerà mai.
Ed è per questo che noi genitori e la sorella Martina abbiamo dato il consenso alla donazione degli organi, il nostro Simone ora è diventato un “dono” anche per altre famiglie e noi siamo sicuri che da lassù ancora ci sorride e vuole vederci sorridere.
La sua allegria era così contagiosa che un giorno un suo amico lo ha definito “il wi-fi delle comitive”, perché creava connessioni ed è quello che è accaduto con l’estremo atto d’amore di donare i suoi organi. Ora c’è un pezzetto del nostro Simo in diverse parti d’Italia.
La distrazione può capitare a chiunque, anche ad un genitore. Può capitare soprattutto ai giovani che a volte sono spavaldi e convinti di avere sempre tutto sotto controllo, la dinamica di questa tragedia deve spingere tutti all’attenzione alla guida. Per noi non è facile parlarne, è un dolore continuo, ma siamo convinti di dover fare qualcosa, di dover offrire questa testimonianza perché l’incidente stradale è qualcosa che può succedere a tutti. Questo non vuol dire che non abbiamo dentro dolore, rabbia per quel che è successo, ma da questo deve nascere qualcosa di positivo. Perché Simone era gioia pura.
“….CHE IL MIO SORRISO POSSA RALLEGRARE LA VOSTRA GIORNATA!”
Simone, questo è stato uno dei tuoi ultimi messaggi sulla chat della famiglia e allora stai pur certo che i nostri sorrisi saranno delle irradiazioni quotidiane di te.
Ti vogliamo bene Simo.❤
La mamma, il papà e Martina
Tra gli imprenditori che hanno reso grande il nome dell’Italia nel mondo c’è senza dubbio Andrea Pininfarina, presidente e amministratore delegato della storica carrozzeria torinese, la cui vita si è interrotta all’età di 51 anni a causa di un incidente stradale.
Figlio dell’imprenditore e senatore a vita Sergio Pininfarina e nipote del fondatore della Pininfarina, Battista “Pinin” Farina, Andrea Pininfarina è stato Vicepresidente di Confindustria durante la presidenza di Luca Cordero di Montezemolo e membro del consiglio direttivo. Nel 2005 era stato nominato Cavaliere del Lavoro con la motivazione di essere il discendente di una famiglia che aveva sempre coniugato tradizione e innovazione.
La sua carriera ha avuto inizio nel 1982 negli Stati Uniti, un anno dopo la laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Nel 1983 era tornato in Italia con l’incarico prima di coordinatore, e poi di program manager del progetto Cadillac Allanté. Un traguardo raggiunto a soli 26 anni. Dal 1° luglio 2001 ricopriva il ruolo di amministratore delegato di Pininfarina Spa. È stato anche presidente di Federmeccanica e dell’Unione Industriali di Torino.
Sposato con Cristina Pellion di Persano, ha avuto tre figli, Benedetta, Sergio e Luca.
L’incidente che lo ha visto coinvolto è avvenuto il 7 agosto del 2008 in via Torino, a Trofarello. Erano le 8 del mattino e Andrea Pininfarina stava raggiungendo con il suo scooter la sede dell’azienda, non molto distante dal luogo in cui è accaduto l’incidente. Un uomo di 78 anni, alla guida di un auto, si è immesso su via Torino senza dare la precedenza allo scooter che sopraggiungeva. Sembrerebbe che il guidatore non si fosse accorto dell’arrivo del ciclomotore.
Unanime il cordoglio da parte di tutto il mondo politico e imprenditoriale italiano, che ricorda Andrea come “un imprenditore brillante ed esemplare”, che si distingueva per “il grande impegno professionale e civile” e che ha lasciato un enorme vuoto nel mondo industriale italiano.
A dieci anni dalla scomparsa il comune di Trofarello ha voluto intitolare all’industriale piemontese l’area verde tra via Torino e via XXIV Maggio, non lontano dal luogo dell’incidente. Nel giardino è stata installata una stele ad imperitura memoria: «Una stele alta, con la schiena dritta come era Andrea, e a pianta triangolare, perché tre erano le cose che animavano mio fratello: la famiglia, l’azienda e la società in cui viveva». Così ha commentato il fratello Paolo Pininfarina. Un luogo che deve invitare alla riflessione.
Alessandro Guido Baroni, in arte Alex Baroni, nasce a Milano il 22 dicembre del 1966. Dopo la laurea in chimica intraprende la strada dell’insegnamento e come seconda attività canta nei locali milanesi. Siamo nei primi anni Novanta e Alex Baroni inizia anche collaborazioni come corista con Francesco Baccini, Spagna e Rossana Casale. A dargli una certa popolarità è Eros Ramazzotti che, dopo averlo portato in tournée, nel 1994 produce “Fuorimetrica”, l’album d’esordio: con l’artista romano Baroni duetta nel brano “Non dimenticare Disneyland”. Entra nell’Orchestra della RAI e, nel 1996, è al Festival di Sanremo, in qualità di corista.
Nel 1997 partecipa a “Sanremo Giovani” con il brano “Cambiare”, vincendo il “Premio Volare” intitolato alla memoria di Modugno assegnato dalla giuria di qualità, quell’anno presieduta da Luciano Pavarotti.
Il brano sanremese “Cambiare” è contenuto nel secondo album che porta il suo nome d’arte. L’album vende un milione di copie e diventa disco d’oro.
Il 1997 è anche l’anno in cui conosce Giorgia. Il rapporto tra i due durerà cinque anni, per interrompersi qualche mese prima del drammatico incidente stradale che ha coinvolto l’artista.
Nel 1998, partecipa nuovamente al Festival di Sanremo, questa volta nella «Categoria Big» con il brano “Sei tu o lei (Quello che voglio)”. Nel settembre dello stesso anno il suo nome acquista risonanza in vari paesi europei (tra cui Paesi Bassi, Germania, Svizzera e Polonia), grazie al disco intitolato “Onde”, dal titolo del brano che, nel frattempo, è diventato il suo più grande successo fuori dai confini italiani. A febbraio1999 Baroni viene premiato in Campidoglio con l’«Oscar dei Giovani 1998». Nel successivo mese di settembre esce il suo terzo album, “Ultimamente” nel quale è contenuta la canzone, drammaticamente profetica, “E il cielo mi prese con sé” scritta da Renato Zero.
Il disco riceve il favore delle radio, ma non riesce ad eguagliare le vendite dei due album precedenti. Baroni intraprende un lungo tour di due anni, nel quale non si risparmia, concedendosi ai fans con concerti gratuiti e di beneficenza. In quegli anni trova anche l’occasione di dedicarsi ad uno dei suoi più grandi amori musicali, le canzoni dei Beatles. Partecipa infatti a un omaggio a Lennon e McCartney, che ha visto l’intervento anche di Mina, poi, nei primi mesi del 2002 è il protagonista di “Beatles for ever”, uno spettacolo andato in scena al teatro Sistina di Roma con la partecipazione di Massimo Di Cataldo.
Il 19 marzo 2002, sulla circonvallazione Clodia a Roma, Baroni viene travolto da un’automobile che stava facendo inversione di marcia in un angolo nascosto. Alex era a bordo di una moto: l’impatto lo fa sbalzare e finire in strada, dove un’altra auto, che viaggiava a velocità sostenuta, lo investe per la seconda volta. Dopo un coma durato 25 giorni, muore all’Ospedale di Santo Spirito il 13 aprile 2002 all’età di 35 anni.
Altero Matteoli è nato l’ 8 settembre del 1940 a Cecina (LI) ed è morto il 18 dicembre 2017 in un incidente stradale a Capalbio. Dal 1983 al 2005 ha sempre ricoperto il ruolo di deputato, con cariche, tra le tante, di membro della Commissione Antimafia e della Commissione d’inchiesta sulla P2. Nel 1994, durante il primo Governo Berlusconi, diventa Ministro dell’Ambiente, dicastero che rappresenta anche dal 2001 al 2006 sempre sotto la presidenza del consiglio del Cavaliere. Alle elezioni del 2006 viene eletto in Senato e nominato capogruppo a Palazzo Madama di Alleanza Nazionale, partito al quale ha aderito fin dalla sua nascita nel 1995 e nel quale è stato membro dell’esecutivo politico, oltre che coordinatore regionale per la Toscana. Nel 2006 è insignito della laurea honoris causa in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio dall’Università di Perugia. Nello stesso anno viene eletto sindaco del Comune di Orbetello (GR), carica che ricopre fino al 2011. Dal 2008 al Novembre 2011 è nominato Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nel governo Berlusconi IV.
Il 16 novembre del 2013, in seguito alla sospensione delle attività del Popolo delle Libertà, aderisce a Forza Italia ed il 24 marzo del 2014 ne diventa membro del Comitato di Presidenza.
Nel 2014 il suo nome figura tra i 100 indagati dalla Procura di Venezia, per l’inchiesta sul Mose. Il 14 settembre 2017 era stato condannato a 4 anni di reclusione per corruzione e a oltre 9,5 milioni di multa per lo stesso reato ed era ricorso in appello.
La sua vita si interrompe bruscamente all’età di 77 anni, quando è presidente della commissione Lavori Pubblici al Senato e si interrompe su quella strada che Matteoli avrebbe sempre voluto diventasse un’autostrada: la Tirrenica. Nel 1985 su quella strada era rimasto vittima di un incidente gravissimo: costole e gambe fratturate, mesi d’ospedale. Lo ricordava spesso: «È da quando ero consigliere comunale a Livorno (era il 1983) che mi batto per la Tirrenica». Il tratto su cui è morto lo considerava uno dei più pericolosi. Erano da poco passate le 15 del 18 dicembre del 2017. La Bmw di Altero Matteoli viaggiava verso nord, diretta a Lucca ad una cena elettorale con il collega di partito Stefano Mugnai, capogruppo di FI in Regione. All’altezza della località Giardino perde il controllo, forse a causa di un malore e dopo aver tagliato tre corsie si scontra con un suv, i cui occupanti riportano danni rilevanti ma non sono in pericolo di vita. L’ambulanza arriva in pochissimi minuti: Matteoli viene estratto dalle lamiere e i sanitari tentano di rianimarlo. Mail suo cuore si ferma proprio su quella che lui avrebbe voluto diventasse un’autostrada.
Gaetano Scirea è stato il “libero” per eccellenza del calcio italiano. Nato in provincia di Milano nel 1953, disputa due stagioni in prima squadra con l’Atalanta, esordendo in A a solo 19 anni in un Cagliari-Atalanta 0-0. Nel 1974 entra a giocare con la Juventus a cui resterà legato fino al giorno della sua morte e oltre. Quattordici stagioni, 377 presenze in serie A, 24 gol in campionato e 7 scudetti. E poi due Coppe Italia e un esemplare di ciascuna delle cinque coppe internazionali.
Il suo esordio in nazionale riporta la data del 30 dicembre 1975 nell’amichevole Italia-Grecia. Con gli azzurri colleziona 78 presenze, 10 delle quali da capitano, ed è nella leggendaria formazione che ha conquistato il titolo mondiale di Spagna ’82.
Noti la sua eleganza e il suo fair play che gli permettono di chiudere la carriera senza subire mai espulsioni. Muore prematuramente a soli 36 anni il 3 settembre 1989 in Polonia.
Scirea dopo il ritiro da giocatore aveva deciso di intraprendere la carriera di allenatore e ottiene l’incarico di secondo a fianco di Dino Zoff alla guida della sua Juventus. Viene quindi incaricato di visionare un incontro dei rivali dei bianconeri in Coppa UEFA, il Górnik Zabrze, e si reca in Polonia.
Fausto Silipo, che seguiva insieme a Scirea il corso allenatori a Coverciano, racconta di una conversazione avvenuta qualche tempo prima: «Fausto – disse Scirea, – per favore stasera puoi vedere tu al telegiornale contro chi dovremo giocare?». Quando, poche ore dopo, Silipo glielo riferì Scirea quasi sbiancò. «Cosa ti prende, Gaetano? Non è una squadra forte. Perché ti preoccupi?». «Perché in Polonia le strade sono terribili, non ci sono benzinai e bisogna viaggiare con le taniche di benzina in auto. È pericoloso». La paura si concretizzò durante il viaggio di ritorno verso Varsavia, dove avrebbe dovuto prendere il volo di ritorno per Torino. Sotto una pioggia insistente l’automobile su cui viaggiava fu tamponata da un furgone nei pressi di Babsk e prese fuoco a causa di quattro taniche di benzina che l’autista trasportava nel portabagagli. Scirea fu soccorso e trasportato presso un ospedale vicino ma, a causa delle gravi ustioni riportate, i medici non poterono fare altro che constatarne il decesso. È sepolto nel cimitero di Morsasco, in provincia di Alessandria. A oltre trent’anni dalla scomparsa continuano i tributi di tutto il mondo del calcio ad un giocatore che ha rappresentato l’emblema della correttezza.
Il mondo del cinema accompagna Giuliano Gemma fin dall’infanzia, quando segue il padre segretario di produzione a Cinecittà. Il fisico atletico, dovuto al grande amore per lo sport, gli permette di impegnarsi nel ruolo di figurante e stunt-man già da adolescente. L’esordio sul grande schermo avviene con il film “Venezia, la luna e tu” (1958) di Dino Risi, dove recita al fianco di Sordi e Marisa Allasio. Nel 1959 è nella folla del kolossal “Ben-Hur”, mentre nel 1960 ha un piccolo ruolo nel peplum “Messalina, Venere imperatrice” di Cottafavi. Viene notato dal regista Duccio Tessari che ne rimane favorevolmente impressionato e lo propone per un ruolo dal protagonista nel mitologico “Arrivano i titani” (1962). Da questo momento e per tutto il decennio successivo Gemma passa da un film di genere all’altro. Mentre ottiene una particina nella pellicola “Il Gattopardo” (1963) di Visconti, è anche Robin Hood in “L’arciere di Sherwood” (1963), passa in Arabia con “La schiava di Bagdad” (1963) e nella Roma antica con “La rivolta dei pretoriani” (1964).
Anche il cinema francese si accorge di lui, riservandogli un ruolo nella coproduzione dedicata alle avventure della bella Angelica, eroina dei best-seller dei Golon, interpretata da Michèle Mercier. Oltre che nel primo film della serie “Angelica” (1964), Gemma reciterà in “Angelica alla corte del re” (1965) e in “La meravigliosa Angelica” (1965).
Ma il successo arriva con la saga degli Spaghetti Western che lo consacreranno come il cowboy del cinema italiano. Lavora con registi come Tessari, Sergio Corbucci e Tonino Valerii, maestri del genere, divenendo popolare con film quali “Una pistola per Ringo” (1965), “Il ritorno di Ringo” (1965), “Per pochi dollari ancora” (1966) o “I giorni dell’ira” (1967).
Oltre al genere western si cimenta anche in operazioni più autoriali come “Il deserto dei Tartari” (1976) di Zurlini, tratto dal noto romanzo di Dino Buzzati, “Il prefetto di ferro” (1977) di Squitieri, che ricostruisce la vita di Cesare Mori o “Corleone” (1978), film contro la mafia, sempre di Squitieri. Negli anni Ottanta lavora con Dario Argento in “Tenebre” e presta il volto al famoso ranger del Texas dei fumetti Bonelli in “Tex e il signore degli abissi” (1985) di Tessari.
Anche il piccolo schermo lo accoglie con svariate produzioni. Ricordiamo “Non aprite all’uomo nero” (1990), “Una storia italiana” (1992), “Deserto di fuoco” (1997); è inoltre nel cast di “Giovanni Paolo II” (2005) e delle serie TV “Butta la luna” (2006 e 2009), “Il Capitano” (2005-07), “Capri 3” (2010). Nel 2012 compare anche nel film di Woody Allen “To Rome with Love”.
La vita di Giuliano Gemma si interrompe drammaticamente il 1° ottobre del 2013 a 75 anni. L’attore stava rientrando a casa a Cerveteri per prepararsi ad una serata con gli amici: in programma una puntatina al Bingo di Civitavecchia e poi una cena a base di pesce da “Baffone”. Sulla via del Sasso all’altezza dell’incrocio con via di Zambra, in una frazione di Cerveteri, la sua Toyota Yaris si scontra frontalmente con una Bmw. Sul posto i vigili urbani di Cerveteri, la polizia stradale e la protezione civile. Gemma arriva all’ospedale di Civitavecchia in arresto cardiaco attorno alle 21 e nonostante i tentativi di rianimarlo non c’è stato nulla da fare. Resterà per tutti un signore del cinema italiano.
Nicola Trussardi lega indissolubilmente il suo nome all’alta moda e ad una sensibilità ambientale che si manifesta con l’utilizzo di ecopelle per le sue creazioni e messaggi di protesta contro la deforestazione delle foreste pluviali nel mondo e l’impiego di vera pelliccia animale. Dopo la Laurea in Economia e Commercio nel 1968 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, entra nell’azienda di famiglia due anni dopo, azienda fondata dal nonno Dante nel 1910 come laboratorio artigianale di guanti. Verso la fine degli anni ’70, dopo la morte del padre, Nicola assume il comando dell’impresa trasformandola in una delle più importanti maison italiane, che ha contribuito a diffondere il made-in-Italy nel mondo.
L’anno 1973 segna l’uscita del famoso logo del levriero e da lì è un’escalation di successi, con aperture di boutique e negozi in tutto il mondo, tanto che negli anni Ottanta Nicola si dedica personalmente ad alcuni progetti speciali come il design d’interni per velivoli ed elicotteri.
Nel 1989 la maison fa parlare di sé perché in occasione della presentazione della collezione, Nicola fa inserire una lettera di protesta contro la deforestazione all’interno delle borse omaggio consegnate agli ospiti all’ingresso della sfilata. Nicola Trussardi è stato anche costumista per importanti rappresentazioni teatrali sia in Europa che negli Stati Uniti.
Nel 1996 Trussardi apre i propri spazi all’interno di Palazzo Marino alla Scala, in Piazza della Scala, proprio di fronte al teatro milanese: oltre alla boutique Trussardi, la struttura ospita uno showroom, un bar e un ristorante. Nello stesso anno nel Palazzo sono stati esibiti per la prima volta i 150 disegni inediti di Pablo Picasso. Degna di nota è senza dubbio anche la costruzione del Palatrussardi di Milano, che ha ospitato importanti concerti pop e rock di artisti come Frank Sinatra, Liza Minnelli, e Sammy Davis. Nel 1996 viene istituita la Fondazione Trussardi, un’istituzione no-profit per la promozione della cultura e dell’arte contemporanea presieduta dal 1999 da Beatrice Trussardi. Dal 2003 la Fondazione ha orientato le proprie risorse nella realizzazione di eventi ed esposizioni temporanee d’arte contemporanea negli spazi pubblici della città di Milano.
La parabola di Nicola Trussardi si conclude nel 1999, quando resta vittima di un sinistro stradale. La sua auto, una Mercedes Coupé 210 CLK, impatta contro la cuspide che delimita l’uscita di Cascina Gobba, sulla Tangenziale Est di Milano: Nicola Trussardi stava rientrando a casa a sua, a Bergamo Alta, dopo una cena con Leonardo Mondadori successiva all’inaugurazione che si era tenuta nel pomeriggio nel suo atelier, il ‘Marino-Center’, in piazza della Scala. Le sue condizioni sono gravissime, viene ricoverato presso il padiglione Beretta del Policlinico milanese ma nemmeno un immediato intervento di neurochirurgia gli salva la vita. Il coma è irreversibile e la famiglia decide di donare gli organi. Le prime ipotesi sull’uscita di strada facevano pensare ad un malore, ma ciò viene escluso dall’autopsia. Vengono fatti degli accertamenti sull’auto, in quanto solo uno degli airbag sembra si sia aperto. Si sospettava quindi un malfunzionamento dei sistema di sicurezza, tanto che vengono iscritte nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio colposo sette persone, tra cui alcuni dirigenti della Mercedes. E dopo otto mesi un altro colpo di scena: spunta un testimone che dice di aver visto un’auto provocare una turbativa che avrebbe indotto Trussardi alla manovra mortale, per poi dileguarsi.
Ma il destino della famiglia Trussardi viene segnato da un altro terribile lutto. Quattro anni dopo, sempre a causa di un incidente stradale perde la vita il figlio Francesco.
Salvatore Antonio Gaetano nasce il 29 Ottobre 1950 a Crotone e vi risiede fino a quando, nel 1960, i suoi genitori decidono di trasferirsi a Roma nel quartiere popolare di Monte Sacro. Da tutti viene chiamato “Salvatorino” ad eccezione della sorella maggiore Anna che lo chiama “Rino”, soprannome che diventerà il nome d’arte. I suoi genitori, entrambi lavoratori, affidarono i primi anni della formazione del piccolo Rino ad un convento ecclesiastico in provincia di Terni, dove tra le altre cose fu escluso dal coro scolastico perché considerato stonato.
A Roma studia come geometra ma non trascura la passione per il mondo del teatro e della musica, imparando a suonare la chitarra e componendo le prime canzoni.
“Ingresso libero”, il suo primo album, arriva nel 1974 ma viene ignorato sia dal grande pubblico che dalla critica. L’anno successivo pubblica il 45 giri “Ma il cielo è sempre più blu” mentre nel 1976 esce il suo secondo disco, “Mio fratello è figlio unico” che contiene la nota “Berta filava”.
Da quel momento è un susseguirsi di successi che lo decodificano come un talento del panorama musicale italiano in grado di trattare temi delicati riuscendo comunque a far divertire il pubblico. Nascono allora “Aida” (1977), “Nuntereggaepiù” (1978) e “Gianna” (1978) che conquista il palco di Sanremo posizionandosi terza in classifica e conquistando il record di vendite.
Nel 1979 avviene il passaggio alla casa discografica RCA con l’album “Resta vile maschio dove vai”, il cui brano omonimo porta la firma di Mogol, lanciando l’indimenticabile ballata “Ahi Maria” e divenendo popolarissimo in tutta Italia. Il 1980 rappresenta per l’artista un periodo buio, una crisi artistica che si conclude alle prime luci dell’alba del 2 giugno 1981, quando perde la vita tornando a casa in un tragico incidente automobilistico sulla via Nomentana a Roma.
Rino stava tornando a casa, da solo, a bordo della sua auto. Mentre stava percorrendo via Nomentana, a livello dell’incrocio di via Carlo Fea, si accascia sul volante e la macchina invade la corsia opposta. Il camionista che sopraggiunge nell’altro senso prova a suonare il clacson, ma l’urto è inevitabile. La parte anteriore e il lato destro della Volvo vengono distrutti, Rino batte violentemente la testa contro il vetro e il petto sul volante e perde conoscenza. L’autopsia rivelerà un possibile collasso prima dell’incidente mentre il camionista racconterà di aver visto Rino accasciarsi di lato e iniziare a sbandare per poi riaprire gli occhi qualche attimo prima dell’impatto.
Per molti anni si è pensato che la canzone “La ballata di Renzo”, scritta dal cantautore nel 1971 ma uscita postuma, rappresentasse una sorta di testamento, una profezia sull’incidente. La canzone infatti racconta di un ragazzo che dopo un incidente stradale con una grossa auto viene rifiutato da tre ospedali.
È la sorella Anna a raccontare la verità su quanto accaduto quella notte. “Non è vero che Rino fu rifiutato dagli ospedali. Questa è una leggenda. Quando il corpo di mio fratello fu estratto dalle lamiere, venne portato al Policlinico Umberto I, semplicemente perché era il posto più vicino. La struttura non aveva una sala operatoria attrezzata per le lesioni al cranio, ma non l’avevano neppure gli altri ospedali contattati telefonicamente. Per noi è sempre vivo. Non c’è giorno in cui non ne parliamo. Ricorderò per sempre mio fratello, ogni giorno della mia vita”.
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